Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge intende ampliare la gamma di strumenti a tutela del diritto al lavoro dei soggetti disabili nel loro insieme, tenendo conto delle esigenze diversificate che emergono da uno studio accurato delle molteplici caratteristiche che li contraddistinguono.
      Quando parliamo, infatti, di disciplina del collocamento dei disabili, riformata con la legge n. 68 del 1999, sappiamo di poter incidere sulla qualità della vita di tutti quei soggetti che possono contribuire fattivamente alla produttività del nostro Paese, e sono tanti, la gran parte. Esiste, però, una percentuale che poco o nulla può avvantaggiarsi della legge n. 68. Si tratta, cioè, di quei soggetti gravi o gravissimi che rappresentano per i propri congiunti una profonda incertezza sia nel presente che nel futuro. Il loro benessere, il loro processo d'integrazione sociale accusano i primi segni di difficoltà già nella scuola, per poi aprire un divario che, con il passare degli anni, si trasforma sempre di più in un baratro, come nel caso di un adulto non autosufficiente.
      Le potenzialità residue di questi soggetti non permettono di inserirli nelle liste per il collocamento obbligatorio poiché essi sono affetti da deficit tali sul piano fisico o psichico che non appare ipotizzabile, per la logica d'impresa e per le loro stesse esigenze, un assorbimento lavorativo soddisfacente e positivo.
      Ci teniamo, comunque, a sottolineare che le frontiere di ciò che noi reputiamo «normale» e «possibile» vengono spesso stravolte: a supporto di ciò si sottolinea l'esempio del giovane fisico siciliano colpito da tetraplegia, che rappresenta uno dei nostri attuali maggiori ricercatori nel

 

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campo delle problematiche attinenti l'«energia pulita», che ha trovato sue modalità di studio e di lavoro mediante l'approccio informatico.
      Esiste una parte di soggetti disabili che godono come ciascuno di noi della titolarità dei diritti costituzionali, ma che sembrano non potersene avvalere. A riguardo si cita l'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, recante «Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti della persona handicappata»: «La Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società»; l'articolo 3, comma 3, della stessa legge, recita: «Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo o globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici (...)».
      L'articolo 8 (Inserimento ed integrazione sociale), al comma 1, lettera l), recita: «L'inserimento e l'integrazione sociale della persona handicappata si realizzano mediante (...) istituzione o adattamento di centri socio-riabilitativi ed educativi diurni, a valenza educativa, che perseguano lo scopo di rendere possibile una vita di relazione a persone temporaneamente o permanentemente handicappate, che abbiano assolto l'obbligo scolastico, e le cui verificate potenzialità residue non consentano idonee forme di integrazione lavorativa (...)».
      Chiaramente, la legge n. 104 del 1992 è una legge quadro, perciò di indirizzo, tanto che, infatti, l'articolo 10 (Interventi a favore di persone con handicap in situazione di gravità), utilizza più volte una formula che mal si coniuga con i bisogni pressanti dei portatori di deficit. Così dispone, ad esempio, il comma 1: «I comuni (...) e le unità sanitarie locali (...) possono realizzare con le proprie ordinarie risorse di bilancio, assicurando comunque il diritto all'integrazione sociale e scolastica secondo le modalità stabilite dalla presente legge e nel rispetto delle priorità degli interventi di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, comunità alloggio e centri socio-riabilitativi per persone con handicap in situazione di gravità».
      Nel concreto, però, non sempre gli enti locali sono in grado di predisporre stanziamenti per una valida offerta di centri diurni socio-riabilitativi ed educativi, ove i soggetti «gravi» vivano momenti di integrazione, di attività occupazionale qualificante ed abilitante sia sul piano fisico che su quello psicologico.
      Quando, infatti, si parla di possibilità e non di certezze, quando cioè i progetti devono fare i conti con le risorse di bilancio, anche i diritti di principio si vedono schiacciati dai conti pubblici. Proprio per impedire questa incostituzionale prevaricazione abbiamo reputato opportuna la stesura di una proposta di legge che istituisse il diritto ad un piano di attività occupazionale individualizzato che determini il diritto all'accesso ad un centro diurno di tipo socio-occupazionale o ad un laboratorio, assistito da personale specializzato, che faccia sentire «vive» ed «utili» a se stesse ed alla società tutte quelle persone affette da handicap psichico o fisico in situazione di gravità tale da non consentire un'attività redditizia entro certi standard produttivi richiesti.
      La presente proposta di legge equipara, quindi, la dignità dei cittadini italiani ed è un atto dovuto del nostro Parlamento, poiché allinea in modo uniforme i comuni, anche consorziati tra loro e con le province, le comunità montane e le aziende sanitarie locali, rispetto al dovere di provvedere all'istituzione e al mantenimento dei centri diurni a favore dei portatori di grave deficit, in relazione alle peculiari necessità espresse dal territorio e rendendo effettivi quei diritti sanciti dalla legge n. 104 del 1992, una legge fra le più avanzate, che tante volte i disabili, le loro famiglie e gli operatori del sociale hanno visto disattendere.
 

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